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venerdì 29 maggio 2015

Confucio: «Solo perdere ti permette di vincere».

(Per me i cinesi resteranno e saranno sempre i migliori sul verde campo del Ping Pong.
Se tutto questo si avvera non mi resta che dire..Mondo dello sport tremate e preparatevi!
 Questa è gente tosta e  quando fanno una cosa la fanno bene)!


La svolta cinese sul ping pong: “Siete troppo forti compagni, ora dovete perdere”Quasi settant’anni sono troppi. La Cina scopre che dal 1949 nessuno la batte a pingpong e per salvare lo sport preferito da Mao chiede ai suoi campioni di lasciar vincere un po’ anche gli stranieri. Se un cinese decide di insegnare ad un occidentale a batterlo, dagli affari alla vita, significa che la situazione lo impone. E così è: il dominio del Dragone nel tennis da tavolo è tale che persino la passione, in patria e all’estero, è in fuga. L’ultima conferma ai campionati mondiali di Suzhou: titoli e medaglie con una sola bandiera, rossa con cinque stelle, sponsor, tivù e pubblico in rotta. Olimpiadi e Mondiale sembrano tornei tra amici del dopolavoro e la stessa tivù di Stato ha accusato i giocatori cinesi di «rovinare lo sport con troppe vittorie ». In palio adesso c’è il prestigio perduto ma, come sempre accade con il comunismo di mercato, prima di tutto una montagna di soldi. Bai Yansong, star della propaganda di Stato, si è spinto a dire che «l’invincibilità cinese nel ping-pong emargina uno sport, ma pure una nazione». Il governo ha ammesso che «lo strapotere danneggia il Paese perché taglia gli interessi commerciali e rende antipatici». Psicodramma di massa, al punto che l’ordine «compagni perdete», per la prima volta, solleva una rivolta sul web. Milioni i tifosi indignati che, nel nome di nazionalismo e agonismo, chiedono ai propri idoli di «disobbedire al potere», continuando a «strapazzare i dilettanti bianchi».





 Quasi settant’anni sono troppi. La Cina scopre che dal 1949 nessuno la batte a pingpong e per salvare lo sport preferito da Mao chiede ai suoi campioni di lasciar vincere un po’ anche gli stranieri. Se un cinese decide di insegnare ad un occidentale a batterlo, dagli affari alla vita, significa che la situazione lo impone. E così è: il dominio del Dragone nel tennis da tavolo è tale che persino la passione, in patria e all’estero, è in fuga. L’ultima conferma ai campionati mondiali di Suzhou: titoli e medaglie con una sola bandiera, rossa con cinque stelle, sponsor, tivù e pubblico in rotta. Olimpiadi e Mondiale sembrano tornei tra amici del dopolavoro e la stessa tivù di Stato ha accusato i giocatori cinesi di «rovinare lo sport con troppe vittorie ». In palio adesso c’è il prestigio perduto ma, come sempre accade con il comunismo di mercato, prima di tutto una montagna di soldi. Bai Yansong, star della propaganda di Stato, si è spinto a dire che «l’invincibilità cinese nel ping-pong emargina uno sport, ma pure una nazione». Il governo ha ammesso che «lo strapotere danneggia il Paese perché taglia gli interessi commerciali e rende antipatici». Psicodramma di massa, al punto che l’ordine «compagni perdete», per la prima volta, solleva una rivolta sul web. Milioni i tifosi indignati che, nel nome di nazionalismo e agonismo, chiedono ai propri idoli di «disobbedire al potere», continuando a «strapazzare i dilettanti bianchi».

Rigore vano: per salvare immagine, contratti e ping-pong, Pechino ha deciso di fondare un’università che avrà la missione di costruire fuoriclasse stranieri della racchetta, capaci finalmente di battere anche i maestri di casa. La prima Accademia cinese del tennis da tavolo, sede a Shanghai, recluta a proprie spese i duecento migliori giocatori del «resto del mondo», invitandoli ad allenarsi con i campioni nazionali. Obbiettivo dichiarato: farsi battere. E’ come se il Brasile pagasse per insegnare agli asiatici le rovesciate, il Giappone assoldasse in Europa lottatori per spingere fuori dal tatami i propri giganti del sumo, o l’Austria finanziasse corsi di sci per giovani promesse africane. E così effettivamente è. L’eccesso di egemonia cinese sottrae al ping-pong il suo storico potere, riducendolo a «hobby per pensionati del Guangdong».

Dietro l’ordine di «cominciare a perdere», la lezione del passato e le ambizioni del futuro. Il pong-pong è stato inventato in Inghilterra nel 1800, con il nome di whiffwhaff. Importato in Asia da Mao è stato ribattezzato fino a divenire il simbolo della sua rivoluzione. Era il Grande Timoniere in persona a incitare i suoi giocatori a «colpire ogni pallina come fosse la testa del tuo nemico capitalista». Ed è stato sempre Mao, nel 1971, a inaugurare il disgelo con gli Usa di Nixon invitando la squadra americana del tennis da tavolo a Pechino per la storica sfida con i campioni cinesi. La «diplomazia del ping-pong» è diventata un caso da manuale della politica ed è proprio questo mito a far suonare oggi l’allarme. «Uno sport ignorato nel mondo – ha scritto il Quotidiano del Popolo – non potrebbe più essere l’ambasciatore della Cina. O lasciamo vincere anche gli altri, oppure giocare diventa dannoso».

Il presidente Xi Jinping ha ammesso altre tre preoccupazioni. Pechino punta a diventare una super-potenza pure nel calcio, a ospitare i Giochi invernali nel 2024 e a trasformarsi nel più ricco mercato globale dello sport. «Se vogliamo che sudamericani ed europei ci insegnino il football – ha detto il nuovo Mao – che gli statunitensi migliorino il nostro basket e i britannici ci svelino i segreti del golf, dobbiamo rivelare al mondo la ricetta del ping-pong». Primo dissidente sportivo della storia, l’allenatore della nazionale Liu Gaolin. «Perdere apposta non serve – ha detto – solo se continuiamo a perfezionarci aiutiamo anche gli altri a migliorarsi ». Voce isolata, il mondo questa volta è avvisato: il soft-power di Pechino inaugura la «diplomazia della sconfitta» e sui tavoli verdi del pianeta si apre lo spazio per rovesci stranieri senza precedenti. E’ la lezione di Confucio: «Solo perdere ti permette di vincere».

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